Friday, November 1, 2024

IL TALENTO DELLA RIFORMA - Considerazioni su intelligenze, equità e percorsi scolastici

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha da poco ripristinato la Direzione generale per l’istruzione tecnica e professionale. ll suo neo-direttore generale ha illustrato la  riforma della “filiera tecnico-professionale” - definita come la “principale sfida” del suo nuovo Ufficio - riassumendone così la filosofia: “ci vogliono scuole diverse per intelligenze diverse”. Lo stesso Ministro Valditara ha citato la teoria delle intelligenze multiple  come fondamento della sua scuola dei talenti. A questa idea di scuola il sociologo Luca Ricolfi - nel suo recente La rivoluzione del merito - ha aggiunto una nota di ugualitarismo (e di lirismo): il talento, in quanto componente essenziale del merito,  è “il più ugualitario dei doni, visto che può posarsi su una reggia come su un tugurio”. La teoria di Gardner è ormai un punto fermo negli studi sull’apprendimento; talento suggerisce l’idea di qualcosa di unico e prezioso da coltivare con cura. Chi può non essere d’accordo, dunque? Eppure, una pur sommaria analisi della riforma in questione fa sorgere qualche dubbio e spinge ad un approfondimento.

Il cosiddetto Modello 4+2, attualmente in sperimentazione in circa 170 scuole italiane, nasce da un problema reale - la riconsiderazione del rapporto fra formazione e mondo dei lavori in fortissima trasformazione - e presenta anche spunti condivisibili. Tuttavia, la riduzione a quattro anni dei percorsi “riformati”, che è obiettivamente al centro del modello, produce due conseguenze: fa crescere la differenziazione dei primi bienni, perché, in un percorso più breve, le materie di indirizzo avranno più peso rispetto a quelle di istruzione generale (con una decurtazione di almeno 99 ore sul monte orario complessivo) e già dalla Seconda inizieranno i percorsi di alternanza scuola-lavoro (ora PCTO); consolida la differenza fra il canale tecnico-professionale e quello dei Licei, che pare rimangano di cinque anni, fino a far intravedere una dualità degli sbocchi “naturali” post diploma: l’Università per i liceali, il lavoro o semmai gli  Istituti Tecnici Superiori, per i diplomati dei tecnici e professionali. Concretamente, se la riforma si affermerà, la scelta dei ragazzi e delle ragazze dopo la Media, che fin ora si era cercato di “sdrammatizzare” con bienni largamente unitari e passaggi agevolati almeno fino al terzo anno, ritornerà ad essere decisamente più “impegnativa”. O, se vogliamo dirla in termini più tecnici: la tendenza al de-tracking, costante in tutta la storia della scuola repubblicana, conoscerà un’inversione.

Il tracking è appunto - nel linguaggio degli studi sulle politiche scolastiche -  la separazione dei percorsi di studio ad un certo punto del percorso, che fu elevata a 14 anni con la Scuola media unica, la vera riforma fondativa della scuola della Repubblica,  nel 1962.   Dopo di allora si era semmai discusso di ritardare ulteriormente o comunque attenuare la “biforcazione”, agendo proprio sul segmento che nel frattempo è entrato nell’obbligo di istruzione. Come si giustificano allora le scelte di oggi con i talenti e le diverse intelligenze? Viene da pensare che, dietro la forma aggiornata del linguaggio “pedagogicamente corretto”, si ripresenti la vecchia idea secondo cui c’è chi nasce per la teoria e chi per la pratica (o, se preferite, con l’intelligenza teorica o con quella pratica); in definitiva, chi è portato per lo studio fine a se stesso e chi per lo studio finalizzato al lavoro. Perché così ha deciso chi conferisce il “dono”. In occasione del dibattito  parlamentare sulla riforma del ‘62, un parlamentare il principale partito di maggioranza, che pure approvò la riforma, si rivolgeva preoccupato ai colleghi chiedendo: “perché dobbiamo portare tutti i ragazzi allo stesso livello a 14 anni? E’ contro natura! Guardiamo i nostri nasi: sono tutti belli, ma sono anche tutti diversi” (1) . A quei tempi le intelligenze multiple non erano state ancora inventate.

Proprio Haward Gardner scrive, nella sua autobiografia intellettuale  - Una mente sintetica - che la teoria delle intelligenze multiple ha finito ormai per assomigliare “a una tavola dei test di Rorschaach, in cui ciascuno vede quel che vuol vederci”. Né ad essa si può far corrispondere un modello di scuola, perché “non esiste un unico approccio educativo ispirato alle intelligenze multiple”, ciò che conta è semmai “decidere cosa si vuol ottenere e perché”. Quel che si vuol ottenere credo sia certamente un nuovo dialogo fra formazione e lavoro, nella distinzione dei ruoli e delle funzioni; la valorizzazione delle individualità; la cura particolare verso chi “fa fatica” e rischia  di andare fuori dal sistema. E, di conseguenza, la riduzione delle disuguaglianze ovvero l’equità delle opportunità e anche dei risultati, almeno fin ad un livello di apprendimento adeguato alla società di oggi. Perché questo richiede la Repubblica che riconosce il merito e allo stesso tempo rimuove gli ostacoli allo sviluppo della personalità. In un Paese in cui cresce la povertà educativa e la scuola non riduce i divari ma semmai li consolida progressivamente; in cui la divisione di classe si esercita principalmente proprio attraverso la canalizzazione, tutt’altro che “naturale”, dei percorsi(2)

Certamente non ci sono soluzioni facili e gli esiti dei sistemi scolastici sono comunque condizionati dai rispettivi contesti socio-economici. Tuttavia, dalle ricerche internazionali vengono indicazioni generali basate su evidenze empiriche. Le sintetizzano bene Benadusi e Giancola nel loro Equità e merito nella scuola. I sistemi “comprensivi” (in cui il tracking avviene più tardi) mostrano livelli di equità più alti in modo significativo rispetto a quelli “selettivi” (che lo anticipano) senza per questo dover abbassare i livelli delle prestazioni degli alunni - accertabili attraverso rilevazioni come quelle di OCSE-PISA - che dipendono piuttosto dalla diffusione di metodologie didattiche innovative e dalla formazione dei docenti. 

Le più recenti riforme in Europa seguono in effetti questa linea. La Germania - da sempre caratterizzata da un sistema fortemente “duale” - ha operato una progressiva inversione in senso “comprensivo” dopo un forte dibattito conseguente alla pubblicazione di dati OCSE-PISA sulla scarsa equità degli esiti unita ad un livello comparativamente non elevato degli apprendimenti. Con l’ultima riforma della Secondaria, la Francia ha introdotto, dopo uno “zoccolo” fortemente unitario, una quota di materie e attività scelte dal ciascuna studentessa e studente ma all’interno degli indirizzi previsti. La tendenza largamente prevalente nei diversi Paesi è comunque di spingere fino a 16 anni la diversificazione, in modo che la valorizzazione della diversità diventi davvero un principio di personalizzazione dell’apprendimento, anziché di classificazione e selezione secondo vere o presunte intelligenze. 

D’altra parte, proprio le tecnologie digitali consentono oggi di affrontare molto più efficacemente i problemi organizzativi e didattici legati alle strategie di individualizzazione. A cominciare dalla molto discussa Intelligenza artificiale.

 

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(1) Lo riporta Luigi Ambrosi nella sua ricostruzione La scuola media dei conservatori - l'opposizione delle destre alla riforma del 1962 su Rivista di storia della scuola (2023)

(2) Per citare la più recente ricerca sulle disuguaglianze insite nel sistema scolastico italiano (settembre 2024) , condotta dall’Osservatorio nazionale sulle politiche sociali - Welforum:

La stratificazione della scuola superiore per indirizzi rappresenta la prima direttrice di (dis)uguaglianza: sebbene tutti gli studenti abbiano facoltà di scelta, questa è nei fatti largamente determinata dalla provenienza socioeconomica dei genitori. L’analisi dei dati di Alma Diploma mostra, infatti, che al Liceo classico due terzi degli studenti hanno genitori laureati e meno del 10% proviene da famiglie in cui i genitori non hanno il diploma. Nei professionali per l’industria e l’artigianato, invece, l’11% degli studenti ha genitori laureati, il 39% genitori diplomati, e la metà genitori senza diploma.

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