Wednesday, May 28, 2025

LE NUOVE INDICAZIONI 2 - La discussione prende quota.

           Sembra dunque che la discussione sulle Nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’Infanzia e il Primo ciclo (NIN) stia prendendo quota. Ben oltre i tempi di una consultazione ministeriale affrettata, mentre il Commissione redigente, dopo aver derubricato disinvoltamente i primi pareri negativi a “resistenze residue di gruppetti radicali”, si appresta a pubblicare la versione definitiva, lentamente si sta sviluppando un movimento d’opinione fortemente critico e si susseguono assemblee di insegnanti, incontri pubblici, prese di posizione di operatori della scuola ed esperti. E’ prevedibile che, dopo la pausa estiva, questa mobilitazione riprenderà a settembre, tanto più che lo stesso MIM ha annunciato che le NIN andranno in vigore dal 2026-27, per “dar tempo agli editori di adeguare i libri di testo”.

Sono anche uscite le prime pubblicazioni che raccolgono le ragioni di chi dissente. Cito il quaderno monografico di Articolo 33, la rivista della FLC-CGIL (1), il libretto della Erickson Credere, obbedire, insegnare (2). Quest’ultimo, curato da Dario Ianes raccoglie i commenti critici e le proposte alternative di sedici esperti, ciascuno su un aspetto specifico delle NIN. Mi soffermo solo su alcuni spunti, sui quali penso valga la pena di riflettere.

A mo’ di premessa il libro si apre con un Breve dialogo fra una dirigente e un barista. Quest’ultimo chiede lumi alla DS della scuola vicina su questa “legge nuova” di cui tutti gli insegnanti che frequentano il bar parlano con preoccupazione. Lei gli spiega che è la solita storia: da trent’anni ogni nuovo ministero vuole marcare il territorio, “come i cani che lasciano il segno per far sentire che di lì loro sono passati”, con decreti e provvedimenti vari. Che il realtà sono fuffa, parole vuote, “spostamenti di sfumature”, estranee alla pratica quotidiana della scuola. Come tali anche le NIN finiranno in nulla, “andranno a mare”, e a chi lavora nella scuola ogni giorno toccherà affrontare le difficoltà di sempre. Finché almeno qualcuno non accompagnerà le “parole tracotanti” con cambiamenti concreti, strutturali, che la DS identifica sostanzialmente negli ambiti del reclutamento, valutazione e progressione di carriera dei docenti, della semplificazione amministrativa e della “flessibilità del curricolo e della personalizzazione”. Alla fine, la DS dice che comunque i suoi insegnanti “hanno ragione a discuterle, criticarle, assieme a tante persone coinvolte nella scuola ... possibilmente anche con opinioni basate scientificamente” e poi “corre a scuola” perché ha da fare. In queste brevi battute è espresso bene un sentimento largamente diffuso nella scuola, una sorta di disillusione operosa, basata sulla convinzione che le cose vanno avanti per il lavoro di chi fa scuola ogni giorno e che “dall’alto” c’è comunque da aspettarsi poco di buono, salvo attendere con pazienza che passi e moltiplicare l’impegno personale.

Nel suo contributo, poche pagine oltre, Franco Lorenzoni cita un intervista di Antonio Brusa a Tecnica della scuola (3) sulla parte delle NIN dedicate alla Storia. In quell’intervento, Brusa - che è  presidente della Società italiana di didattica della storia - sostiene che essa non solo teorizza una impostazione apertamente identitaria e occidentalista - vedi l’incipit fin troppo citato: solo l’Occidente conosce la Storia - ma fornisce anche una interpretazione del declino della conoscenza storica attribuendola ai “tanti gruppi minoritari ma corposi che per decenni si sono battuti per il rinnovamento della didattica, anche in chiave laboratoriale”. Quelli che hanno provato a “fare storia” attraverso l’approccio critico, la valorizzazione delle fonti e dei contesti materiali, il confronto fra una pluralità di visioni dello sviluppo storico. Il fatto è - continua Brusa - “che questi gruppi sono rimasti minoritari e che la maggior parte dei docenti pratica il cosiddetto modello tradizionale : lezione - manuale - interrogazione. Quindi, se c’è una crisi è a questi insegnanti che va imputata”. Se questo è vero, la prima cosa che viene da chiedersi è se ciò vale solo per la Storia o anche per le altre materie.

E’ un tema ripreso da Simone Giusti - docente di Letteratura italiana all’Università di Siena - che al termine del suo contributo osserva: “Se fino ad oggi avevamo a disposizioni Indicazioni nazionali (quelle del 2012, n.dr.) in gran parte disattese - anche perché non sono mai state accompagnate da adeguati finanziamenti, né da interventi di formazione e di accompagnamento all’altezza della situazione - ma dotate di prospettiva e aperte ad una pluralità di modelli didattici e di opzioni educative, domani dovremo sottoporci al diktat di una norma ... intenzionata a sbarrare la strada a gran parte della tradizione didattica italiana che fino a questo momento è stata minoritaria e da domani sarà anche oppressa(4). Mi pare un punto essenziale. 

Torniamo un attimo al nostro dialoghetto morale, perché forse qualcosa da precisare c’è. Le NIN non sono fuffa. Benché siano un testo prolisso, inutilmente retorico, poco coordinato e a volte contraddittorio, sono il prodotto di una corrente di pensiero che in questi anni, anche in ambienti intellettuali prestigiosi, ha teso a identificare la causa della crisi della scuola - spesso rappresentata in termini catastrofisti - nella vittoria della pedagogia “progressista” (se non della pedagogia tout court), conseguenza di una più ampia “egemonia culturale” dello stesso segno. A cui invece si ispiravano, raccogliendo largamente le istanze delle scuole più innovative, le Indicazioni del 2012, che infatti ora si vogliono cancellare. Galli della Loggia, l’autore della parte culturalmente più impegnata delle NIN, è stato, come editorialista del Corriere della sera, uno dei più efficaci interpreti di questo pensiero; non a caso con lui ha collaborato Adolfo Scotto di Luzio che in suo recente libro ha dato dignità teorica a chi ha sempre pensato che fra i ragazzi di don Milani e la professoressa avesse ragione lei (5)

Dunque, se è vero quello che dicono Brusa e Giusti, ciò che si propongono le NIN, la loro cifra più profonda, più che un “ritorno al passato” consiste nell’appello ad un passato che non passe che ora si riproporre come futuro. A chi, docenti e dirigenti, ha continuato a fare scuola “come una volta”, si dice oggi che va bene così. Dietro la cortina di “obiettivi” e “traguardi” messi perché ci devono stare, si propone un rassicurante elenco di contenuti - come ai bei tempi dei Programmi ministeriali. In cambio di un po’ meno di autonomia e di libertà di insegnamento si (ri)propone una navigazione tranquilla, confortata dall’indice dei “nuovi” libri di testo. Insieme alla promessa, invero assai illusoria, di un rinnovato prestigio sociale. Si offre persino la copertura culturale del dovere di ricostruire l’identità nazionale.

Le NIN non sono inutili, sono dannose e posso lasciare un segno più duraturo di quello del metaforico cane. Discuterle, criticarle con “opinioni basate scientificamente” dovrebbe servire soprattutto a spiegare al metaforico barista - a tutte le cittadini e le cittadini - che non si tratta di sfumature semantiche - affari fra addetti ai lavori - ma dell’idea di scuola che è poi, in definitiva, l’idea di società - che riguarda tutti. E a spiegare qual è questa idea di scuola a cui teniamo (anche per capire, magari, perché non l’abbiamo davvero realizzata). E poi ancora a indicare quali sono, più precisamente, quei “cambiamenti concreti e strutturali” che anche la metaforica Dirigente chiedeva. Se non altro per non dare più alibi a nessuno.

Non è facile. Prepariamoci per settembre.


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(1)  https://www.articolotrentatre.it. Numero di maggio.

(2)  Dario Ianes (a cura di) Credere, obbedire, insegnare, Erickson, 2025

(3)   https://www.tecnicadellascuola.it/indicazioni-nazionali-lo-storico-antonio-brusa-non-ha-dubbi-sono-ottocentesche-hanno-funzione-identitaria-e-non-cognitiva,. 

(4) Simone Giusti La deriva della tracotanza  in  Credere, obbedire, insegnare, cit., pagg. 95-96

(5) Mi riferisco a Adolfo Scotto di Luzio L’equivoco don Milani, Einaudi, 2023. L’autore, docente dell’Università di Bergamo compare fra gli esperti della sotto-commissione per la Storia, coordinata da Galli della Loggia.

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